Panchina delle donne lavoratrici

Panchina delle donne lavoratrici

Non posso ammettere che l’uomo sia l’essere ideale della creazione e debba servire da unità di paragone. La donna non è né superiore, né inferiore; è quel che è. E tale qual è non v’ha ragione ch’essa si trovi in condizioni inferiori.” (Anna Kuliscioff)

“Risale al 1905 uno dei primi scioperi delle Marche, proclamato dalle operaie della filanda a vapore di Grottammare, importante opificio fondato nel 1853 dal conte Fenili, che dava lavoro a circa duecento giovani donne del posto. Alla produzione concorreva gran parte della popolazione con allevamenti di bachi da seta, impiantati nei giardini e nelle campagne del circondario. I bachi venivano allevati dalla fine di aprile alla metà di giugno; dopo la raccolta dei bozzoli, molte ragazze del paese venivano impiegate nella filanda, almeno fino al mese di ottobre, per la “trattura” della seta. Nel 1885 la produzione di seta ammontava a oltre 4 mila kg l’anno, di cui se ne esportava una consistente quantità anche in Francia. Dunque una fonte di ricchezza e di sostentamento per le famiglie grottammaresi.

L’azienda, nel 1885, passa in mano a Sebastiano de Santis che la gestisce fino al 1891, anno della sua chiusura. La filanda rimane inattiva fino a quando, nel 1898, viene rilevata dal conte Francesco Langosto di Milano. Le operaie rivestivano un ruolo rilevante in questo tipo di fabbrica, quasi esclusivamente femminile, perché con le loro piccole mani, erano più abili, rapide e precise nella lavorazione dei bozzoli. Vi erano impiegate fin da bambine, molte si ammalavano. Non era prevista alcuna tutela. Un lavoro pesante; le mani sempre immerse nell’acqua bollente che provocava scottature e geloni, la schiena curva, mal pagate e sfruttate non potevano assentarsi nemmeno per andare al bagno. L’aria era irrespirabile a causa del vapore maleodorante che scaturiva dalle bacinelle in cui erano i bozzoli.

La protesta scoppia nel bel mezzo dell’estate, nell’agosto del 1905, sotto la gestione del conte Langosto. A quel tempo nell’opificio vi lavorano 161 operaie e 5 operai. Quali le cause dello sciopero? Il malumore serpeggia tra le lavoratrici per l’inadeguatezza del salario e dell’orario di lavoro, 11 ore giornaliere, dalle 5 alle 18.30, con una pausa a mezzogiorno di due ore e un’interruzione di mezz’ora al mattino. Il malcontento aumenta con l’ingresso nell’opificio del nuovo direttore, un certo Adolfo Comotti di Legnano, particolarmente severo. Tutto inizia il 9 agosto, quando il direttore si accorge che in un reparto mancano sei operaie, allontanatesi per andare al bagno. Le richiama con la minaccia di multe e sospensioni; quattro non ubbidiscono e sono costrette ad andare via, private delle bacinelle per proseguire il lavoro. Dopo la sosta per la colazione, la maggioranza delle addette non riprende il lavoro proclamando lo sciopero in segno di solidarietà con le operaie escluse. È il primo sciopero a Grottammare guidato dalle donne della filanda. All’epoca organizzare uno sciopero era molto difficile, specie per le donne, perché al timore del padrone si sommava spesso l’ostilità del mariti e dei padri che non accettavano che la propria moglie o figlia scendesse in strada a protestare. Di fronte al peggiorare delle condizioni di lavoro si arriva, però al punto di non ritorno. Fu una manifestazione importante, tra le prime del movimento femminile in Italia.

Sperando nell’interessamento delle autorità per una risoluzione della vertenza, le scioperanti si recano in Municipio, dove una loro delegazione viene ricevuta dal sindaco. Vi fanno parte Elisa Capriotti, Maria Cesarini, Valpruga Scampini, Maria Pignotti, Palmira Federici e Anna Lisciani che espongono le ragioni della protesta: aumento di salario, diminuzione di almeno un’ora di lavoro, attenuazione del rigore applicato all’interno dello stabilimento. Partecipa alle trattative anche il segretario della locale sezione del Partito Socialista, il sarto Antonio Ricciotti, presidente dell’Unione Cooperative di Mutuo Soccorso. Nonostante la mediazione delle autorità comunali, unico risultato è la riammissione delle quattro operaie sospese. Il conte Langosto non concede nulla, anche se riconosce l’inadeguatezza del salario, adducendo tra i motivi la scarsa qualificazione professionale delle lavoranti e altre ragioni tra cui la mancanza di materie prime sul posto. Minaccia il rischio di chiusura dell’opificio come avvenuto con la precedente proprietà. Dopo cinque giorni di sciopero, il 14 agosto l’assemblea decide il ritorno in filanda per il 16 dello stesso mese.

Il Lavoro, periodico della Federazione del partito socialista di Ascoli Piceno, in data 25 agosto si occupa dello sciopero di Grottammare e riporta quanto segue: «non fu una vittoria, ma neppure una sconfitta, non per altro quelle operaie hanno potuto sperimentare quanto sia efficace il vincolo della solidarietà di fronte alle prepotenze padronali». Lo stesso sindaco, nel rispondere al Ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio che gli chiedeva della protesta, conferma che «lo sciopero avrebbe persuaso le operaie della necessità di un’organizzazione». In un’epoca in cui solo gli uomini avevano diritto al voto, la rivolta delle circa 200 filandine di Grottammare fu un evento significativo che dimostrò la forza delle donne, anche le più umili, non solo come mogli e madri, ma anche come cittadine e lavoratrici, specie se unite. Una pagina della storia locale da non dimenticare, in memoria di tutte quelle operaie che hanno combattuto per il diritto alle tutele sul lavoro e per l’emancipazione femminile.

La filanda, tra alterne vicende e gestioni varie, resta in funzione fino al 1937. L’antica fabbrica, acquistata nel 1928 dalla Società Anonima Stabili e Terreni, viene demolita nel 1958. Unica dei vari comuni del circondario ad avere una caldaia a vapore che attivava una macchina motrice realizzata secondo il sistema lombardo con 64 bacinelle, salite a 128 nel 1857. L’epopea delle filande coincide con un momento fondamentale delle nostra storia, un periodo di grandi trasformazioni a livello sociale e lavorativo che vede le donne, per la prima volta, affacciarsi sulla scena politica coinvolgendo la classe operaia femminile nei grandi scioperi di inizio ‘900 per l’affermazione dei diritti del lavoro delle donne e non solo.”

(tratto dal libro “Le perle dell’Adriatico, le donne nella storia di Grottammare”)

Fu una delle prime manifestazioni importanti del movimento femminile in Italia, in cui si saldarono rivendicazioni di genere con richieste sociali e lavorative, come nella vita della celebre e contemporanea rivoluzionaria Anna Kuliscioff, in una epoca in cui le donne non avevano ancora riconosciuti neanche i loro diritti di voto, che per la prima volta furono fugacemente sanciti proprio nelle Marche un anno dopo con la vicenda delle prime “dieci elettrici” a seguito della celebre “sentenza Mortara”.

 

Panchina

Pagina aggiornata il 18/11/2024

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